8 novembre Fogliano, Sala Marizza presso Biblioteca Comunale, via Madonnina 4 ore 20.30 
MORIRE PER UN GIORNO DI LAVORO di Donato Placido 

Morti bianche e caporali
Spesso si parla del cosiddetto “capolarato” a proposito del Mezzogiorno. Chi sono questi “caporali senza divisa? Sono uomini che senza alcun legale affidamento partecipano a quello che un tempo si chiamava “il mercato delle braccia”. I loro uffici sono quasi sempre all’aperto, in una piazza. Qui affluiscono donne e uomini (le braccia) in cerca di lavoro, spesso extracomunitari. Sono anche loro atipici, precari e iperflessibili, visto che i loro “contratti” di lavoro durano una giornata alla volta. I caporali li squadrano, li soppesano con lo sguardo e poi li indirizzano verso determinati padroni o padroncini. Naturalmente percependo una percentuale per ogni lavoratore ingaggiato. Succede nelle calde estati italiane per la raccolta dei pomodori, quando sui rotocalchi, si parla addirittura di rinascita di forme di “schiavitù”.

Ora una cinepresa li ha fatti vedere anche tra le nebbie della Val Padana, alle prese con gli operai edili da spedire nei cantieri. Merito di questa scoperta è una puntata di ‘”Tg2 Dossier” diretto da Stefano Marroni. L’inchiesta è dedicata al racconto della tragedia delle morti sul lavoro, le cosiddette “morti bianche”. E infatti il titolo è “Morire per un giorno di lavoro”.  Ma è proprio spaziando tra vittime e madri e padri che piangono i loro cari che ci s’imbatte in questa modernissima organizzazione del lavoro, affidata ai “caporali” e che è tra le cause di uno sfruttamento senza principi e senza tutele della mano d’opera. Ed ecco che l’inchiesta, realizzata con grande professionalità, da un giornalista intelligente e sensibile come Donato Placido, propone cinque storie vere, ambientate nel Nord e nel Sud.

Una di queste è collocata nel Bergamasco. Qui sono presenti sette mila cantieri edili, con 30 mila lavoratori. Una buona parte (2500) lavorano in nero, la maggioranza sono extracomunitari. Quando subiscono un infortunio, cadono dalle impalcature, preferiscono non farsi curare, per non essere scoperti. Sono, infatti, quasi sempre clandestini e il loro procacciatore di lavoro, il caporale, l’impresario che organizza il 50 per cento del mercato del lavoro, non vuole grane. E’ una specie di “padre padrone”.

Tg2 Dossier narra la storia di uno di loro il tunisino Kalid che un giorno è colpito dal gancio di una gru. Il caporale lo fa registrare all’ospedale col nome di un altro. Quando è dimesso scoprono che è senza permesso di soggiorno, lo rinchiudono nel carcere di Brescia. Dopo un processo per direttissima è espulso. Ma rimane in Italia da clandestino. Abita in una cascina diroccata ma non ha i soldi per le medicine. Campa come può offrendosi ai connazionali come parrucchiere. Ricorre ad un laboratorio medico per extracomunitari: qui la troupe televisiva tenta di entrare, ma è sbattuta fuori. Sono alcune delle pagine drammatiche dell’inchiesta.

E’ la documentazione del primato di cui gode l’Italia (sesta potenza industriale nel mondo) in Europa. Un primato che ha sollevato più volte l’indignazione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Cento morti ogni mese, un milione di feriti ogni anno. Ma, come ha sottolineato Stefano Marroni, a premessa dell’ottimo “Dossier”, “non può essere solo la fatalità a spiegare un numero d’incidenti così alto nei cantieri edili, in agricoltura, nelle fabbriche”. Anche perchè all’appello mancano quasi tutti gli incidenti di chi lavora in nero: “I più indifesi, quelli costretti ai compiti più pericolosi: centinaia di migliaia d’immigrati, ma anche operai italiani, spesso meridionali”. Sono tutti vittime, dice bene Marroni, “di una cultura che sembra mettere in conflitto – anziché legare – profitto delle imprese e sicurezza”. Una catena da spezzare. E sarebbe bene che i potenti mezzi della Rai-Tv facessero di queste tematiche un impegno non sporadico, bensì continuo. Come è dovere del servizio che si dice “pubblico”.

Bruno Ugolini

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