Avanti Pop

23 Gennaio 2009

Un grazie sentito da tutti noi per l’indimenticabile serata di ieri ad Andrea e Maurizio dei Têtes de Bois, a Luisa ed ai suoi ragazzi del Laboratorio FareTeatro, a tutti i volontari del Centro Giovani ed a tutti voi che avete partecipato… alla prossima!

avantipop_1

avantipop_2

avantipop_3

Presentazione del libro/DVD Avanti Pop – I diari del camioncino
con i Têtes de Bois in duo
reading, video & musica live

Il camioncino dei Têtes de Bois transita nei luoghi di lavoro carico di artisti. Sono le tappe di un viaggio unico nell’Italia di oggi alla ricerca di storie di dignità calpestata, lotta, ingiustizia, riscatto che Avanti Pop raccoglie, evoca, ricorda e riabilita con il peso e la leggerezza di un evento artistico.

IL LIBRO: I diari del camioncino
La descrizione del viaggio in ordine cronologico, tappa per tappa, per tutte le venti tappe che sono state effettuate. Una raccolta dei testi originali, delle storie, dei documenti e delle vicende narrate in ogni sito. Gli interventi scritti degli ospiti, i retroscena, le modalità di realizzazione del progetto, la squadra, la band. Il tutto arricchito da materiale fotografico, dalla preziosa grafica di Marta Dal Prato e dalle illustrazioni di Sergio Staino, Vauro, Chiara Rapaccini, Licio Esposito e Carlo Amato.

IL DVD: Avanti Pop
Di Têtes de Bois
Un raro documento reso possibile grazie alle immagini spontaneamente riprese e trovate da appassionati ricercatori, amici, semplici e qualche volta anonimi spettatori nel corso di due anni di lavoro. Il viaggio del camioncino ripercorso attraverso otto storie significative, otto capitoli che tagliano trasversalmente le tappe per affinità tematiche. I veri testimoni delle storie, i luoghi, i contributi. Un’incredibile carrellata di artisti di primo livello che hanno prestato le loro voci, i loro volti e il loro cuore a questa vicenda.

Sarà presente, accompagnato dalle proprie musiche e dalle proprie parole, Andrea Satta, voce e anima dei Têtes de Bois, sul palco assieme ai componenti del Laboratorio FareTeatro e a Luisa Vermiglio, che curerà i readings.
 … non mancate!

avantipop

Cronaca – 18.01.2009

18 Gennaio 2009

In regione è la terza vittima in sei giorni

Un operaio friulano muore nella Cartiera di Duino

DUINO AURISINA. È finito nella sega circolare utilizzata per tagliare i tronchi degli alberi. È morto così, fatto a pezzi dalle lame, un operaio di 49 anni. Si chiamava Mauro Burg, abitava a Terzo di Aquileia. Lascia la moglie e due figli. L’i nfortunio – il terzo mortale in appena sei giorni nella nostra regione – è avvenuto ieri pomeriggio all’interno dell’area della Cartiera Burgo di Duino. Mauro Burg non era un dipendente della Burgo, ma della Compagnia portuale di Monfalcone. Lavorava in pratica da «esterno».

Il taglio dei tronchi utilizzati per produrre la carta è una fase della produzione che qualche anno fa, in una delle tante ristrutturazioni attuate nell’industria di Duino, era stata esternalizzata anche nell’ottica del contenimento dei costi. L’i mpianto era stato ceduto dalla Burgo alla Compagnia che appunto si era impegnata a fornire il prodotto pronto per essere lavorato: era nata insomma una piccola fabbrica nella grande fabbrica.

Ieri pomeriggio Mauro Burg aveva il suo turno di lavoro. «Era prudente e meticoloso», ricorda con la voce rotta dall’emozione Franco Romano, console della Compagnia portuale di Monfalcone. «Da anni svolgeva con impegno il suo compito». L’impianto in cui è avvenuta la disgrazia è una struttura metallica arrugginita, dall’a spetto vecchio e poco rassicurante. Alta una decina di metri, è collegata con un nastro trasportatore che a sua volta parte dai binari ferroviari. Per arrivarci non ci sono strade asfaltate, ma avallamenti nel fango.

Su quel nastro passano i tronchetti di legno che arrivano alla Cartiera sui vagoni ferroviari che a loro volta giungono dal porto di Monfalcone. I pezzi di legno vengono separati a mano secondo la lunghezza: quelli che superano il metro finiscono nella sega circolare. Questo perché gli impianti interni della Cartiera accettano solo tronchi di un metro.

Ieri alle 15.30 Mauro Burg era lì su una piccola piattaforma: sotto di lui le lame della sega giravano a tutto ritmo. Poi l’uomo è caduto in avanti ed è stato trascinato dalle lame. Il fragore dell’i mpianto ha coperto le sue urla. Nessuno si è accorto di quanto stava succedendo. Pochi istanti dopo quello che rimaneva del suo corpo è finito nel cassone di un camion. Assieme ai pezzi di legno. Una fine orribile, incredibile, assurda.

Solo dopo qualche minuto i colleghi di lavoro (la squadra è composta da sei persone tutte dipendenti della Compagnia portuale) si sono accorti che Burg non era più al suo posto. Hanno guardato con attenzione, lo hanno chiamato. E hanno scoperto la tragica fine del loro collega.

Come è possibile che sia accaduta una disgrazia simile? Ieri se lo chiedevano tutti, carabinieri, polizia, tecnici del servizio antinfortunistica dell’Azienda sanitaria e vigili del fuoco. Fino a sera hanno controllato il mostro di metallo che a guardarlo fa pensare a un rudere preindustriale, una specie di struttura abbandonata in mezzo al fango e ai detriti, non certo a un impianto degno di una fabbrica moderna.

La zona è stata illuminata dalle fotoelettriche. Gli investigatori hanno esaminato il funzionamento delle lame della sega. Le lame avrebbero dovuto fermarsi in circostanze come questa. Il sistema di sicurezza si sarebbe dovuto attivare. Ma non è successo: le lame hanno continuato a girare agganciando il corpo di Mauro Burg.

Racconta ancora sconvolto il console Franco Romano: «Eppure quell’i mpianto era stato controllato la mattina stessa e funzionava regolarmente. Si sarebbe dovuto fermare…» Non aggiunge altro. Con lui ci sono i colleghi di Mauro Burg. Si dividevano i compiti: uno stava sul camion, gli altri quattro impegnati a controllare strutture vicine.

Il pm Giuseppe Lombardi è salito sulle scale di metallo arrugginito fino alla piattaforma dove lavorava Mauro Burg. Si è trattenuto a lungo. Ha parlato con tutti i presenti. «Ho sequestrato l’i mpianto», ha detto in seguito uscendo dalla fabbrica. Ha aggiunto: «Bisognerà fare altre verifiche, bisognerà capire perché le lame non si sono fermate».

Da 15 anni, quando cioè era stato assunto, quello di Burg era un lavoro frenetico che seguiva il ritmo veloce e incessante della macchina.

Messaggero Veneto del 18/01/2009

Cronaca – 15.01.2009

15 Gennaio 2009

Udine, operaio di 54 anni muore soffocato dalla segatura in un silos

UDINE (15 gennaio) – Stava lavorando all’interno di un silos quando, secondo una prima ricostruzione dei vigili del fuoco, è stato travolto da una massa di segatura che lo ha soffocato. Questa la fine di Enrico Tami, operaio di 54 anni residente a Pavia di Udine e dipendente della Sole Est, morto stamani nello stabilimento della ditta di Claudio Macor, a Leproso di Premariacco, in provincia di Udine.

La magistratura – a quanto si è appreso – ha posto sotto sequestro il silos. Del caso si sta occupando il pm di Udine, Claudia Danelon. Già effettuata un’ispezione della salma, ora il magistrato dovrà decidere se disporre l’autopsia. Saranno fatte anche le necessarie verifiche sul rispetto delle norme di prevenzione in materia di sicurezza sul lavoro.

Proprio Marcor si è reso conto dell’accaduto: ha visto spuntare una mano dalla montagna di materiale, ma oramai era troppo tardi. La ditta di Marcor è specializzata nella lavorazione del legno e Tami, dipendente di un’azienda esterna, era intervenuto all’interno del silos nel quale viene raccolta segatura per una serie di operazioni di manutenzione dell’impianto.

Secondo la ricostruzione fornita dai Vigili del Fuoco di Udine, intervenuti verso le 7, l’uomo, autista addetto al carico e scarico di materiali e dipendente della ditta La Sole Est, si era recato con il camion a recuperare la segatura in via Valussi, dal silos della ditta della quale è titolare Claudio Macor. A causa probabilmente di un inceppamento dello stesso silos, che impediva il flusso della segatura, l’uomo sarebbe sceso dal mezzo e sarebbe entrato all’interno del contenitore, per tentare di smuovere il materiale con un attrezzo. Un distacco improvviso di 3-4 metri cubi di segatura l’avrebbe travolto e ucciso. Si ritiene che l’infortunio sia avvenuto intorno alle 6. Sul posto, oltre i Vigili del Fuoco, sono intervenuti i carabinieri della Compagnia di Cividale del Friuli.

Ansa

Cronaca – 14.01.2009

14 Gennaio 2009

Il pm Giuseppe Lombardi: «Gli incidenti in fabbrica non sono morti bianche»

 «Non si può morire di lavoro. Per questo voglio capire non solo cos’è successo ma anche perché è potuto accadere. Non si possono chiamare morti bianche gli incidenti in fabbrica: sono veri omicidi, destinati a ripetersi se non si interviene immediatamente».

Lo ha dichiarato ieri il sostituto procuratore della Repubblica Giuseppe Lombardi. Da lunedì mattina sta dirigendo l’inchiesta sulla morte di Dusan Poldini e a breve scadenza dovrebbe individuare i responsabili di quanto è accaduto sulla banchina della ferriera. Ieri il magistrato ha iniziato a esaminare i protocolli di sicurezza adottati dallo stabilimento in base al recente Testo unico che ha integrato la legge 626. Sono finiti sotto la lente di ingrandimento i metodi e le procedure che obbligatoriamente devono definire tutti gli adempimenti, individuando anche i responsabili di questo o quel settore e di ogni procedura. In sintesi nomi, cognomi, ruoli.

«Dobbiamo capire se le disposizioni sono state correttamente impartite agli operai» ha detto il magistrato. «Non bastano le circolari affisse in bacheca: devono essere illustrate ai dipendenti e soprattutto applicate e fatte rispettare da chi ha assunto queste responsabilità. La dinamica dell’infortunio è pacifica. Ora dobbiamo comprenderne i motivi. La sicurezza sui posti di lavoro è un fatto prioritario, fondamentale».

Il Testo unico sulla sicurezza definisce con precisione tutte le fasi lavorative di ciascun stabilimento. Oltre alla formazione del personale la legge indica, ad esempio, anche come devono essere eseguite in sicurezza le procedure di manutenzione. Compresa quella della gru maledetta. Ogni intervento ha un suo responsabile predefinito e gli incaricati delle manutenzioni, quando devono intervenire in un reparto, hanno l’obbligo di presentarsi al capostruttura che adotta le misure previste dal protocollo. Perchè sulla banchina non è accaduto? Esisteva l’obbligo che il gruista e il manutentore fossero in contatto via radio? Quando è intervenuto Dusan Poldini, la corrente elettrica non avrebbe dovuto essere tolta dall’area della gru?

Per rispondere a queste domande i tecnici dell’Asl stanno lavorando su due fronti: verificano il funzionamento della gru, costruita nel 1962 ma tenuta sempre sotto controllo tant è che le verifiche di legge sono state sempre superate. E stanno accertando l’ora della morte. Alle 9.30 un operaio ricorda di aver visto Dusan Poldini accanto a una macchinetta del caffè. L’allarme è scattato alle 10.30, quando attorno alle due gru impegnata nello scarico di una nave, lavoravano una ventina di persone. In quei 60 minuti nessuno ha udito grida o invocazioni di aiuto. Tra la banchina e lo scafo rimbalzava solo il sordo rumore delle macchine e degli ingranaggi.

il Piccolo, 14 gennaio 2009 di CLAUDIO ERNÈ

Cronaca – 13.01.2009

13 Gennaio 2009

Operaio di 37 anni stritolato da una gru alla Ferriera

Dusan Poldini è morto durante un intervento di manutenzione. Proclamato uno sciopero di otto ore.

Lo hanno stritolato gli ingranaggi della gru in movimento. È morto così ieri mattina Dusan Poldini, 37 anni, operaio addetto alla manutenzione della Ferriera, figlio del botanico Livio professore dell’Università. Abitava da pochi mesi in un miniappartamento in via Hermet 2.

 

La sua è stata una fine orribile. Alle 10.30 è salito fino alla piattaforma della gru alta oltre 20 metri, la prima delle due sollevatrici che si trovano sulla banchina dello stabilimento. Doveva lubrificare con un particolare apparecchio gli organi di trasmissione che si trovano sopra la prima piattaforma. Un intervento definito di routine, che viene effettuato molto frequentemente per evitare improvvisi blocchi dei sollevatori utilizzati per scaricare il carbone e gli altri minerali dalla stiva delle navi.

 

All’improvviso la gru si è mossa e ingranaggi e contrappesi si sono messi in movimento. Dusan ha disperatamente tentato di spostarsi, di togliersi dalla morsa: ma lo spazio dove stava in quel momento lavorando è diventato sempre più piccolo, sempre più stretto: troppo poco tempo per tentare di uscire prima che i denti di acciaio si unissero. Alla fine gli ingranaggi della gru hanno agganciato mortalmente il suo corpo. Chi in quel momento era sopra in cabina stava manovrando non si è accorto di quello che stava accadendo. Non ha sentito le sue urla, prima di disperazione e poi di dolore. Il gruista si trovava in cabina a sedici metri da terra. Non c’erano né radio, né altri strumenti per comunicare con chi era sotto. Nessuno dei due insomma sapeva cosa stava facendo in quel momento l’altro. Ognuno lavorava per conto suo.

 

Così l’enorme benna si è mossa verso il mare e ha sollevato il carico di carbone dalla stiva della nave Maria K. che aveva ormeggiato poche ore prima sulla banchina della Ferriera. I contrappesi si sono spostati e gli ingranaggi hanno girato straziando il povero corpo di Dusan Poldini.

 

Dopo almeno dieci minuti, quasi per caso, alcuni colleghi addetti allo scarico dei minerali in banchina si sono accorti della disgrazia. Erano nel piazzale. Hanno casualmente guardato verso l’a lto e hanno visto qualcosa penzolare nel vuoto. Ma non hanno capito subito che quel «qualcosa» era il corpo senza vita di Dusan. Da terra sono riusciti ad avvisare il gruista che ha spento i motori. Poi sono saliti freneticamente per le scale di metallo arrivando fino alla piattaforma all’altezza di otto metri sperando che il loro fosse solo un timore ingiustificato. Un falso allarme. Che avessero insomma visto male. Invece, in breve, ai loro occhi si è presentata una scena agghiacciante, incredibile.

 

Subito è scattato l’allarme. L’ambulanza del 118 è giunta nello stabilimento entrando attraverso l’ingresso dello Scalo Legnami. È arrivata prestissimo una volante e poi i carabinieri di Servola. Quindi sono entrati alla Ferriera gli investigatori della Squadra mobile e della Digos e i tecnici del servizio antinfortunistica dell’Azienda sanitaria. La zona della banchina vicino alla gru è stata bloccata al transito e il medico legale Fulvio Costantinides ha esaminato il corpo martoriato di Dusan Poldini. Attorno alle 13 è arrivato il furgone grigio dell’Acegas e la salma è stata trasportata all’obitorio di via Costalunga. «Dobbiamo capire – ha detto nel pomeriggio il pm Giuseppe Lombardi – chi ha dato l’ordine all’operaio di effettuare l’intervento di manutenzione sulla gru». Di più non ha voluto aggiungere.

 

Intanto per tutta la giornata di ieri gli agenti della Squadra mobile su incarico del magistrato hanno interrogato colleghi di lavoro e dirigenti della Ferriera. Stanno ricostruendo l’accaduto cercando di capire se gli interventi di manutenzione siano regolati da un protocollo operativo in funzione proprio delle operazioni relative allo scarico delle navi giunte in banchina. Hanno interrogato il gruista che in quel momento era in cabina. Lo conoscono tutti per nome, Marco. È un giovane di 19 anni da poco assunto allo stabilimento. I colleghi spiegano che «da quell’a ltezza comunque non si sarebbe mai potuto accorgere della presenza dell’operaio che stava effettuando la mautenzione agli ingranaggi otto metri più sotto». Lui piangeva disperato.

 

È stata intanto messa sotto sequestro – su disposizione del pm Lombardi – l’attrezzatura che Dusan Poldini stava utilizzando per lubrificare gli ingranaggi della gru sollevatrice. Nei prossimi giorni verrà effettutata l’autopsia sul corpo dell’operaio. Servirà non solo a risalire alle cause della morte. Ma contribuirà così a ricostruire l’esatta dinamica dell’infortunio. «La nostra vita non vale nulla», ha detto ieri un operaio che usciva dall’ingresso dello Scalo Legnami della Ferriera. «Non capisco come possa essere successo. So solo che non doveva accadere. Aveva solo 37 anni…». In quel momento una lunga scia di fumo grigio è uscita dalla ciminiera e ha oscurato il cielo.

Il Piccolo, 13 gennaio 2009